Storia di Pietrarsa
L'opificio di Pietrarsa visto dal mare Lunedì 22 Novembre 1535 Carlo IV Re di Napoli (Carlo V per il Sacro Romano Impero e Carlo I come Re di Spagna) reduce dall’impresa di Tunisi arrivò nella zona di Pietrarsa, allora chiamata Pietrabianca, ed ebbe ospitalità nella villa di Bernandino Martirano, segretario del Regno di Napoli. Questi, cinque anni prima, aveva fatto edificare la sua villa, in riva al mare, tra i casali di Portici e San Giovanni a Teduccio, nello stesso luogo dove due secoli più tardi fu costruita Villa Nava. Carlo IV era ospite lì in attesa che fossero ultimati i preparativi per accoglierlo nella sua visita alla capitale. La sua permanenza durò tre giorni, durante i quali ricevette molti nobili Napoletani giunti a rendergli omaggio e ai quali egli concesse alcune grazie e privilegi, tra cui ci fu quello riconosciuto ai sangiorgesi e ai porticesi, ai quali fu permesso di portare la frutta secca a Napoli senza pagare dazi. Oggi, una lapide bianca è posta sul lato destro del portone di Villa Nava per ricordare tale evento. Essa originariamente fu posta sotto la finestra dove il Re si affacciò quando concesse il privilegio ai casali di San Giorgio e Portici. Sulla lapide furono scritte le seguenti parole:

Ospite anche se hai fretta,
non essere scortese quando passi:
venera questo edificio.
Qui infatti Carlo V
Imperatore Romano
reduce dall’Africa sconfitta
trascorse tre giorni
nel grembo generoso di Leucopetra
”.

Il 16 dicembre del 1631 il Vesuvio riprese la sua attività eruttiva con una violenta esplosione. Questo parossismo fu uno dei più violenti della storia del vulcano, le colate di lave piroclastiche fecero avanzare la linea di costa nella zona di Pietrarsa.

Subito dopo l’eruzione, le autorità del Regno predisposero la costruzione nella zona di Pietrabianca di un alveo per far defluire verso il mare le acque piovane che scendevano dal Vesuvio. Ma le successive controversie con i proprietari dei fondi interessati rimandò la costruzione al 1646 e nello stesso anno l’alveo entrò in funzione. In quell’epoca fu posto un crocifisso in legno sulla strada reggia nel punto in cui la stessa sovrastava il lagno; tale luogo fu chiamato “Croce del Lagno”. L’alveo nei periodi non piovosi era secco e molte persone lo usavano per recarsi in San Giorgio partendo dalla strada reggia; ma successivamente fu emesso un bando, notificato a suon di tromba, che vietava a chiunque di entrarvi.

L’eruzione del 1694 deviò i corsi delle acque piovane provenienti dal Vesuvio ed il lagno diventò inutile; così la parte a monte di Sant’Aniello venne interrata, mentre la parte a valle diventò un ampia e comoda strada; così il decreto fu ritirato. Parecchi anni dopo, nel 1815, un gruppo di villeggianti di San Giorgio a Cremano decise di far lastricare la strada perché il terreno non era adatto per il passaggio di carri e calessi. I turisti non erano in grado di coprire l’intero ammontare dei capitali necessari all’opera, e poiché questa era considerata di grande utilità pubblica, intervennero anche i comuni di San Giorgio , Portici e Barra, che si unirono a finanziarla. Ad uno dei lati della strada vi fu anche costruito un canale per il deflusso delle acque bianche.

La statua di S.M. Ferdinando II posta in fondo al viale dell'opificio di Pietrarsa Il 3 Ottobre 1839, fu inaugurato il primo tratto di ferrovia della penisola italiana “Napoli-Portici”, che pochi anni dopo arrivò a Nocera.

Il 6 Novembre 1840 Ferdinando II Re delle Due Sicilie emanò un decreto per l’acquisto del suolo posto al confine tra Napoli e Portici (attuale Pietrarsa), sul quale impiantò uno stabilimento destinato alla costruzione di locomotive che entrò in funzione due anni dopo.

Con l’apertura di questo opificio il Regno delle Due Sicilie non ebbe più bisogno di acquistare locomotive dall’estero. Nella stessa zona fu istituita anche una scuola per formare Ufficiali Macchinisti per le navi a vapore, sia per l’Armata di Mare che per la marina mercantile del Regno. Infatti il Regno delle Due Sicilie fu l’unico stato a non aver bisogno di macchinisti inglesi sulle navi a vapore, ciò perché gli ingegneri napoletani, smontando alcune macchine a vapore avevano scoperto ogni segreto del loro funzionamento.

L’opificio di Pietrarsa ebbe un enorme sviluppo infatti prima dell’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna, dava lavoro a mille persone e con l’indotto delle fabbriche di San Giovanni a Teduccio, anch’esse impegnate nella produzione di materiale ferroviario, ad altri settemila operai.

La perdita dell’indipendenza delle Due Sicilie non tardò far sentire i suoi effetti , Pietrarsa fu privatizzata; a meno di due anni dalla partenza di Francesco II per l’esilio ci lavoravano solo 400 operai e con la metà dello stipendio che percepivano col vecchio regime. Tutto alla sommossa del 6 agosto 1863 dove i bersaglieri caricarono all’arma bianca uccidendo sette operai ferendone 20.

In seguito l’opificio continuò a decadere, anche se una sua locomotiva lì prodotta, prima del 1860, vinse nel 1873 la medaglia d’oro all’esposizione Universale di Vienna.

Nel 1875 lavoravano a Pietrarsa solo cento operai. La fabbrica fu adibita solo alla riparazione delle locomotive ma col passaggio ai locomotori elettrici, il lavoro per lo stabilimento diminuì sempre più. L’ultima locomotiva fu riparata nel 1975 poi la fabbrica fu chiusa. Nel 1989 fu aperto nell’ex opificio borbonico l’unico museo ferroviario d’Italia.

Giuseppe Savoia
21 novembre 2007